Roccamonfina
Roccamonfina
Localizzazione
Regione: Campania
Provincia: Caserta
Coordinate: Latitudine: 41° 18′ 0′′ N;
Longitudine: 13° 59′ 0′′ E
Altitudine: 612 m s.l.m.
Superficie totale: 30 km²
Località e frazioni: Ausoni, Cari, Campetto o Campomarino, Cese, Cembali, Filorsi, Fontanafredda, Gallo, Garofali, Giglioli, Lattani, Quirini I, II, III, San Pietro, San Domenico, Tavola, Torano, Tuoro di Tavola, Tuorisichi.
Comuni contigui: Caianello, Conca della Campania, Galluccio, Marzano Appio, Sessa Aurunca, Teano.
Il patrimonio archeologico: proposta interpretativa
Sul Monte La Frascara, a circa 928 metris.l.m., una ricca vegetazione costituita da castagni, ginestre e pungitopi, sorveglia i resti della più antica storia di Roccamonfina: l’Orto della Regina, un recinto in opera poligonale di notevole importanza per la ricostruzione dell’insediamento originario della città.
Si tratta di una struttura costituta da grossi blocchi di trachite dalle dimensioni varie, sul versante occidentale conservatasi per un’altezza di circa4 metri, che presenta forti analogie tipologiche con le fortificazioni difensive italiche databili tra il VI e il IV sec. a.C. L’andamento della costruzione, che si estende per180 metricirca, includendo in più tratti grosse sporgenze di roccia fino a3 metri, ha la forma di un poligono irregolare dai lati piuttosto diseguali. Il perimetro esterno è costituito da blocchi a secco, ricavati verosimilmente spianando la sommità della vetta. La cortina è rincalzata al suo interno da filari di grosse pietre, sbozzate sommariamente, di dimensioni inferiori rispetto a quelle interne. L’ingresso, individuabile a sud-est, dà accesso ad un lungo corridoio sul cui battuto pavimentale sono stati rinvenuti diversi frammenti di tegole, che consentono di ipotizzare l’esistenza, al di sopra dei blocchi in trachite, di palizzate in legno con copertura regolare.
Ovviamente, l’assenza di tracce evidenti di abitazioni o di altri edifici nelle vicinanze, ha fino ad oggi escluso l’esistenza di un abitato stabile in antico.
Considerata la posizione del recinto e le sue modeste dimensioni, doveva trattarsi, in effetti, di un complesso fortificato, funzionale soprattutto al controllo sistematico delle aree di confine comprese trala Valledel Liri e del Volturno, dal valore strategico indiscusso.
Nonostante le forti relazioni con le cinte murarie di età preistorica o protostorica, la costruzione potrebbe essere stato realizzata dagli Ausoni-Aurunci, che le fonti antiche (in particolare, Antioco di Siracusa in Strabone, V, 4, 3) indicano quali abitanti intorno al cratere. Tuttavia, considerato che nel corso del V sec. a.C. erano stati costretti a limitare la propria influenza nella piana a sud del Garigliano dai Sidicini e dai Romani, secondo il racconto dello storico Livio, il quale sposta lo scontro al IV sec. a.C. probabilmente per ridurre il peso dell’esercito romano nella distruzione della territorio aurunco, è possibile che si tratti piuttosto di una struttura realizzata dai Sanniti, che a partire dagli inizi del IV sec. a.C., si espansero proprio fino alla riva del Liri, realizzando un sistema difensivo a protezione di centri maggiori per contrastare l’avanzata dei Romani.
La presenza di una facies diversa dagli Aurunci nell’area intorno al vulcano di Roccamonfina dopo il V sec. a.C., del resto, è documentata da un’iscrizione osca databile al III sec. a.C.. Il testo, inciso su un blocco tufaceo riutilizzato in un cunicolo di captazione di età romana, conserva l’indicazione del toponimo MIFINEIS, che, come è già stato osservato, potrebbe essere considerata la più antica attestazione della forma nominale conservata nel toponimo attuale Roccamonfina.
Se fosse completo così come ci è pervenuto, sarebbe ipotizzabile, in effetti, l’esistenza di un toponimo al genitivo che ben si inserisce nella tradizione relativa alle pietre di confine. Sebbene i cippi terminali latini presentino più frequentemente il genitivo plurale dell’etnico, una tale ipotesi, infatti, troverebbe conferma nel fatto che il vulcano di Roccamofina costituiva in epoca pre-romana il confine orientale del territorio aurunco e di quello sidicino.
Nel toponimo Orto della Regina per la cinta del Monte La Frascara, potrebbe esserci invece il riferimento ad un ‘orto’ nel senso di ‘recinto sacro di una regina’, ma soltanto se nella regina fosse possibile riconoscere una figura divina, dotata di attributi regali, cronologicamente e topograficamente legati al muro fortificato in questione.
In effetti, la relazione tra sorgenti ed edifici templari antichi è attestata abbastanza frequentemente nel territorio appenninico di tradizione sebellica e potrebbe far pensare ad una diffusione nell’antico centro di Roccamonfina del culto di una divinità femminile connessa proprio alle sorgenti.
La presenza stessa di un Santuario sul Monte Lattani dedicato alla Madonna sembra confermarlo: il culto potrebbe aver conservato un’antica tradizione rituale legata ad una dea pagana fornita di qualità regali.
L’ipotesi troverebbe conferma anche nell’appellativo con cui si venera attualmente la Vergine(Regina Mundi), riconosciuto nel 1952 con bolla papale ma certamente più antico.
La notizia secondo cui nel 1580 il tempio era indicato a S. Maria de Fontibus, per la sua vicinanza ad alcune sorgenti, ancora, potrebbe far supporre che la dedica alla Vergine abbia sostituito una precedente tradizione religiosa legata ad una dea identificata e connessa con la sorgente stessa, oltre che con una vicina grotta naturale. L’acqua, d’altra parte, doveva essere intimamente collegata alla Madonna dei Lattani, se ancora fino al 1700 fluiva in un’apposita condotta nella chiesa per arrivare ad una vaschetta da cui i fedeli la attingevano.
Ovviamente, non è semplice definire l’orizzonte cronologico ed etnico in cui collocare la diffusione originaria di un tale probabile culto.
Da un lato, infatti, potrebbe essere considerata una tradizione di origine aurunca, vista la nota devozione degli Ausoni per le fonti, dall’altro potrebbe trattarsi più propriamente di riti legati alla sfera della maternità, in connessione a sorgenti ed a grotte, così come attestati per l’età arcaica (VI secolo a.C.) nell’Italia centrale. Se fosse così, non è escluso, allora, che il recinto di Monte La Frascara, prima di assumere specifiche funzioni strategiche contro l’avanzata dei Romani, abbia funzionato in origine soprattutto in relazione con culti e riti legati ad una dea di nome Mefitis (=radice di Mifinus?). Tale divinità, del resto, nei centri italici dell’Appennino Meridionale non solo era associata alle sorgenti ed alle emissioni solforose, ma era anche identificata con Iuno Regina, generalmente rappresentata munita di diadema e seduta su un trono, proprio come la Vergine dei Lattani.
Il vulcano
Il massiccio vulcanico del Roccamonfina, che si è estende tra la valle del Volturno a sud-est e la piana del Garigliano a nord-ovest, ha una cerchia craterica esterna larga mediamente6 km. Al suo interno si collocano due coni di notevoli dimensioni formatisi in eruzioni successive. Le origini del complesso risalgono almeno a 600.000 anni fa; in 300.000 anni si è invece costruito un enorme cono alto1750 metri. Intorno al cratere sorgevano altri coni più piccoli, con attività eruttiva particolarmente intensa. Un crollo della metà superiore del cono maggiore troncò il vulcano, formando un’ampia caldera, che presto nuove eruzioni di ceneri e lave colmarono, insieme ai due domi di Monte S. Croce (1005 m.) e Monte Lattani (810 m.). Tra i numerosi coni vulcanici, Monte Atano, Casi (Teano), colle Friello (Conca della Campania), Monte Ofelio (Sessa Aurunca), risultano interessanti soprattutto per il profilo a cupola semisferica. L’attività eruttiva, cessata da più di 50.000 anni, ha lasciato rocce uniche di composizione molto varia, tra cui Tefriti, Basaniti, Leucititi, Tufi, Ignimbriti, Latiti e Basalti.
L’ambiente
Il territorio del gruppo vulcanico di Roccamonfina è notevolmente ricco di boschi cedui, maestosi castagni e circa un migliaio di specie erbacee.
Tra fitti tappeti di primule, viole, gigli, gerani, orchidee selvatiche, eriche e ginestre, è possibile programmare escursioni in ogni momento dell’anno, incantandosi dei sorprendenti scenari naturali che si scorgono attraverso vecchi sentieri o passando per le numerose sorgenti d’acqua, i mulini abbandonati, i pagliai e le neviere.
Queste, in particolare, per gran parte perfettamente riconoscibili tra i boschi, così come i più noti pagliai utilizzati come ripari provvisori dai contadini, erano impiegate fino qualche decennio fa in sostituzione dei frigoriferi. Diffuse anche in altre zone dell’Appennino Meridionale, a Roccamonfina hanno assunto forme e tipologie in funzione della specifica area geografica e delle necessità locali. Si tratta di vere e proprie costruzioni in muratura, prive di finestre ma con porte d’accesso, che, durante l’inverno, venivano riempite di neve fresca, trasportata con carriole o con cesti a mano e poi pressata con i piedi o con mazzuole artigianali in legno. Intorno ad esse, la storia di un popolo rivive in eterno i suoi ritmi, così come sempre accade nelle molteplici espressioni dell’ambiente che le circonda.
Fonte. E. Prata, Scheda su Roccamonfina, in Civiltà Aurunca, Minturno 2007
Foto: Work in Progress